Poesia Archivi - Comune di Gangi https://www.comune.gangi.pa.it/argomento-turismo/poesia/ Un nuovo sito targato WordPress Wed, 06 May 2020 20:16:53 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.1 Antonio Li Destri Ventimiglia (1849-1924) https://www.comune.gangi.pa.it/turismo/antonio-li-destri-ventimiglia-1849-1924/ Tue, 24 Dec 2019 08:30:32 +0000 http://www.comune.gangi.pa.it/?post_type=turismo&p=2341 Romanziere. Ha lasciato molte opere che ne rappresentano la sua grandezza, più del titolo Nobiliare della sua famiglia.

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Romanziere. Ha lasciato molte opere che ne rappresentano la sua grandezza, più del titolo Nobiliare della sua famiglia.

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Accademia degli Industriosi https://www.comune.gangi.pa.it/turismo/accademia-degli-industriosi/ Mon, 23 Dec 2019 11:32:28 +0000 http://www.comune.gangi.pa.it/?post_type=turismo&p=2325 L’Accademia degli Industriosi di Gangi venne fondata dal barone Francesco Benedetto Bongiorno, che ne fu anche il protettore locale e il mecenate. Alla sua morte, avvenuta nel 1767, tale ruolo fu svolto dal fratello Gandolfo Felice. “Riconosceva la sua protezione dal sovrano Padrocinio dello Spirito Santo e della sua Santissima Sposa Maria Vergine Assunta in Cielo”. In base alle Leggi dell’Accademia, oltre ai due “Protettori Celesti” e al protettore locale (Francesco Benedetto Bongiorno e, alla sua morte, Gandolfo Felice Bongiorno), doveva esserci anche un mecenate e protettore “forestiero”. Il primo “mecenate forestiero” fu Tommaso Moncada de’ principi di Calvaruso (nel messinese), arcivescovo di Messina e Patriarca di Gerusalemme, fratello maggiore del principe di Calvaruso assai attivo a Napoli presso la corte reale e nel circuito del principe di San Severo Raimondo de’ Sangro. Alla sua morte, gli subentrò Gabriello Maria Di Blasi, anche lui arcivescovo di Messina, benedettino e fra i maggiori esponenti del giansenismo siciliano. Alla morte di quest’ultimo, divenne mecenate un non meglio identificato “Monsignor N.N.”. Dal Cinquecento al Settecento, a Gangi fiorirono diverse accademie. L’Accademia degli Industriosi nacque, intorno al 1756, dalla trasformazione di una preesistente “Accademia degli Sprovveduti”, fondata nel 1748. Avvenuta la trasformazione (vennero cambiati il nome e l’ “Impresa”), in breve tempo divenne “Seconda Colonia” dell’Accademia Palermitana del Buon Gusto e, tra il 1771 e il 1772, Colonia Arcadia. Fu anche ben collegata all’Accademia degli Ereini di Palermo. Come scrive Corrado Viola, l’Arcadia va liberata da un invalso cliché riduttivo, che rimonta alla cultura risorgimentale (si pensi a De Sanctis), ma che già Benedetto Croce e poi Mario Fubini hanno provveduto a liquidare: il cliché deteriore delle pastorellerie e dell’idillismo bucolico. Sotto la superficie dei riti pastorali che si celebravano nell’arcadico Bosco Parrasio, a monte di una liturgia accademica che è parsa vuota e risibile, si deve scorgere qualcosa di più serio: una strategia di aggregazione e di autoidentificazione, che il ceto intellettuale italiano mise in atto, allora, per istituzionalizzare una rete di rapporti, e per rispondere a un’esigenza intensamente avvertita di visibilità. Presso l’Arcadia si praticava anche l’alchimia. Le riunioni dell’Accademia degli Industriosi avevano luogo due volte al mese a Palazzo Bongiorno, fatto appositamente affrescare dal barone Francesco Benedetto Bongiorno, che ne era il proprietario, ed i lavori venivano in seguito pubblicati. Una terza volta ogni mese, gli accademici si riunivano per discutere di argomenti di teologia morale. Il “Principe” (presidente) veniva eletto ogni due anni. Quello uscente e il nuovo eletto nominavano due “Censori”, il “Secretario” e il “Pro-Secretario” (vice segretario). Di comune accordo, tali “Ufficiali” sceglievano i due “Protettori”, quello “locale” (che fu Francesco Benedetto Bongiorno, fino alla sua morte) e quello “forestiero”. L’accademia pubblicò sette opere a stampa. Un primo volume di componimenti poetici nel 1758, in lode di Tommaso Moncada de’ principi di Calvaruso; un secondo nel 1762, sempre in lode di Moncada; un terzo nel 1764, in lode di Gabriello Maria Di Blasi; ”Rime degli Accademici Industriosi” nel 1769, a cura di Gandolfo Felice Bongiorno, per celebrare la morte del fratello, il barone Francesco Benedetto; un quinto volume nel 1775 per la nascita del “Reale Infante Principe ereditario delle Due Sicilie”; un sesto, nel 1777, in lode di Giuseppe Bologna marchese della Sambuca, primo segretario di stato del regno di Napoli e di Sicilia e, sempre nel 1777, una raccolta di “Epitalamj”. Come scrive anche Davide Comunale, l’ Accademia degli Industriosi di Gangi era «un circolo massonico che reclutava adepti tra le famiglie nobili per la propaganda del pensiero libero e degli ideali giansenisti». Tra gli accademici, più di 130 e tutti maschi, oltre ai nomi di Tommaso Moncada de’ principi di Calvaruso, di Gabriello Maria Di Blasi e dei suoi due fratelli, anche loro giansenisti, Giovanni Evangelista e Salvadore Maria, compaiono i nomi del sacerdote palermitano giansenista Francesco Carì (assai attivo nell’Accademia degli Agricoltori Oretei di Palermo), del principe catanese di Biscari Ignazio Paternò (fondatore dell’Accademia dei Pastori Etnei, o Accademia Etnea), del sacerdote catanese giansenista Raimondo Platania, del canonico della Cattedrale di Palermo, nonché Direttore dell’Accademia Palermitana del Buon Gusto, Domenico Schiavo, del religioso catanese Vito Amico (rinomato storico e letterato), del regio storiografo Arcangelo Leanti (anche lui Agricoltore Oreteo), di Antonino Sandoval duca di Sinagra, de’ principi di Castel Reale (assai attivo all’interno dell’Accademia degli Ereini), e del gangitano Giuseppe Fedele Vitale, segretario dell’accademia, abate, medico e autore della Sicilia Liberata. Fu grazie a lui che, tra la fine del 1771 e l’inizio del 1772, l’Accademia degli Industriosi di Gangi divenne Colonia Enguina dell’Arcadia. Il regio storiografo Domenico Scinà, nei primissimi anni del XIX secolo, seppur criticandolo severamente, collocò il Vitale subito dopo Giovanni Meli e prima di Domenico Tempio.

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L’Accademia degli Industriosi di Gangi venne fondata dal barone Francesco Benedetto Bongiorno, che ne fu anche il protettore locale e il mecenate. Alla sua morte, avvenuta nel 1767, tale ruolo fu svolto dal fratello Gandolfo Felice. “Riconosceva la sua protezione dal sovrano Padrocinio dello Spirito Santo e della sua Santissima Sposa Maria Vergine Assunta in Cielo”. In base alle Leggi dell’Accademia, oltre ai due “Protettori Celesti” e al protettore locale (Francesco Benedetto Bongiorno e, alla sua morte, Gandolfo Felice Bongiorno), doveva esserci anche un mecenate e protettore “forestiero”. Il primo “mecenate forestiero” fu Tommaso Moncada de’ principi di Calvaruso (nel messinese), arcivescovo di Messina e Patriarca di Gerusalemme, fratello maggiore del principe di Calvaruso assai attivo a Napoli presso la corte reale e nel circuito del principe di San Severo Raimondo de’ Sangro. Alla sua morte, gli subentrò Gabriello Maria Di Blasi, anche lui arcivescovo di Messina, benedettino e fra i maggiori esponenti del giansenismo siciliano. Alla morte di quest’ultimo, divenne mecenate un non meglio identificato “Monsignor N.N.”.

Dal Cinquecento al Settecento, a Gangi fiorirono diverse accademie. L’Accademia degli Industriosi nacque, intorno al 1756, dalla trasformazione di una preesistente “Accademia degli Sprovveduti”, fondata nel 1748. Avvenuta la trasformazione (vennero cambiati il nome e l’ “Impresa”), in breve tempo divenne “Seconda Colonia” dell’Accademia Palermitana del Buon Gusto e, tra il 1771 e il 1772, Colonia Arcadia. Fu anche ben collegata all’Accademia degli Ereini di Palermo. Come scrive Corrado Viola, l’Arcadia va liberata da un invalso cliché riduttivo, che rimonta alla cultura risorgimentale (si pensi a De Sanctis), ma che già Benedetto Croce e poi Mario Fubini hanno provveduto a liquidare: il cliché deteriore delle pastorellerie e dell’idillismo bucolico. Sotto la superficie dei riti pastorali che si celebravano nell’arcadico Bosco Parrasio, a monte di una liturgia accademica che è parsa vuota e risibile, si deve scorgere qualcosa di più serio: una strategia di aggregazione e di autoidentificazione, che il ceto intellettuale italiano mise in atto, allora, per istituzionalizzare una rete di rapporti, e per rispondere a un’esigenza intensamente avvertita di visibilità. Presso l’Arcadia si praticava anche l’alchimia.

Le riunioni dell’Accademia degli Industriosi avevano luogo due volte al mese a Palazzo Bongiorno, fatto appositamente affrescare dal barone Francesco Benedetto Bongiorno, che ne era il proprietario, ed i lavori venivano in seguito pubblicati. Una terza volta ogni mese, gli accademici si riunivano per discutere di argomenti di teologia morale. Il “Principe” (presidente) veniva eletto ogni due anni. Quello uscente e il nuovo eletto nominavano due “Censori”, il “Secretario” e il “Pro-Secretario” (vice segretario). Di comune accordo, tali “Ufficiali” sceglievano i due “Protettori”, quello “locale” (che fu Francesco Benedetto Bongiorno, fino alla sua morte) e quello “forestiero”.

L’accademia pubblicò sette opere a stampa. Un primo volume di componimenti poetici nel 1758, in lode di Tommaso Moncada de’ principi di Calvaruso; un secondo nel 1762, sempre in lode di Moncada; un terzo nel 1764, in lode di Gabriello Maria Di Blasi; ”Rime degli Accademici Industriosi” nel 1769, a cura di Gandolfo Felice Bongiorno, per celebrare la morte del fratello, il barone Francesco Benedetto; un quinto volume nel 1775 per la nascita del “Reale Infante Principe ereditario delle Due Sicilie”; un sesto, nel 1777, in lode di Giuseppe Bologna marchese della Sambuca, primo segretario di stato del regno di Napoli e di Sicilia e, sempre nel 1777, una raccolta di “Epitalamj”.

Come scrive anche Davide Comunale, l’ Accademia degli Industriosi di Gangi era «un circolo massonico che reclutava adepti tra le famiglie nobili per la propaganda del pensiero libero e degli ideali giansenisti». Tra gli accademici, più di 130 e tutti maschi, oltre ai nomi di Tommaso Moncada de’ principi di Calvaruso, di Gabriello Maria Di Blasi e dei suoi due fratelli, anche loro giansenisti, Giovanni Evangelista e Salvadore Maria, compaiono i nomi del sacerdote palermitano giansenista Francesco Carì (assai attivo nell’Accademia degli Agricoltori Oretei di Palermo), del principe catanese di Biscari Ignazio Paternò (fondatore dell’Accademia dei Pastori Etnei, o Accademia Etnea), del sacerdote catanese giansenista Raimondo Platania, del canonico della Cattedrale di Palermo, nonché Direttore dell’Accademia Palermitana del Buon Gusto, Domenico Schiavo, del religioso catanese Vito Amico (rinomato storico e letterato), del regio storiografo Arcangelo Leanti (anche lui Agricoltore Oreteo), di Antonino Sandoval duca di Sinagra, de’ principi di Castel Reale (assai attivo all’interno dell’Accademia degli Ereini), e del gangitano Giuseppe Fedele Vitale, segretario dell’accademia, abate, medico e autore della Sicilia Liberata. Fu grazie a lui che, tra la fine del 1771 e l’inizio del 1772, l’Accademia degli Industriosi di Gangi divenne Colonia Enguina dell’Arcadia.

Il regio storiografo Domenico Scinà, nei primissimi anni del XIX secolo, seppur criticandolo severamente, collocò il Vitale subito dopo Giovanni Meli e prima di Domenico Tempio.

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Francesco Alaimo https://www.comune.gangi.pa.it/turismo/francesco-alaimo/ Mon, 23 Dec 2019 11:32:02 +0000 http://www.comune.gangi.pa.it/?post_type=turismo&p=2323 Poeta, storico,critico direttore didattico membro della Società Siciliana per la storia Patria, medaglia d’argento del Ministero della P.I. Nasce da Biagio Alaimo e Rosa Passalacqua nel 1877. Non si conosce la data di morte, si hanno notizie di lui sino al 1950. Lasciò molte pubblicazioni, fra cui il saggio critico-storico su G. Salerno “Lo Zoppo di Gangi” e l’altro su Giuseppe Fedele Vitale-Salvo. Come poeta dialettale è autore de la “Vigna” poema a cui affidò le antiche vicende di Gangi fino al 1366, poi di “Fiori e Lacrime” raccolta di sonetti, poesie varie, canti in lingua e poesie in dialetto ed inoltre dei “Canti di Tripoli e dell’Egeo” che esaltano le eroiche gesta dei soldati italiani in Libia. La “Vigna” (su cui soffermiamo l’attenzione in quanto parla di Gangi) è poema siciliano di 8 canti in ottave siciliane. E’ un viaggio fantastico nella storia di Gangi fino al 1366 farcito di aneddoti curiosità racconti fantastici, presi con sapienza dalla spendida dialettica tra l’io narrante e “u Zu Puddu Muntisano”, metafora del vecchio saggio gangitano “Ia sugnu lu zu Puddu Muntisanu l’amicu di lu nannu di to nannu,l’anticu malantrinu gangitanu”. Ad Introduzione di ogni canto il poeta pone “l’argomentu” strofa in ottave sunto del canto. L’argomento del primo canto ci introduce pienamente nella vicenda: Mentri annettu la vigna, ‘na caverna Si grapi, e spunta un vecchiu gangitanu, Chi ‘nta ‘na sala pi ‘na strata interna Mi guida d’un palazzu suttirranu, Cci apprunta ddà, pusata la lucerna, Da manciari un fullettu ammanu ammanu. Passatu ‘ntra ‘na villa dda sutta Restu a dormiri sulu ‘nta na grutta. Nel 1950 il F.A. aveva 73 anni esce “Fiori e Lacrime” raccolta di poesie quasi esclusivamente in lingua italiana,eccetto l’appendice di 16 poesie in dialetto siciliano. L’opera ci mostra un Alaimo in gran vena versatile perfettamente compreso della materia letteriaria che maneggia abilmente”.(R. Cortimiglia). Siamo alla maturità che delinea e definisce i contorni dell’artista. L’opera è composta da 6 corpus più un appendice “Poesie varie”, “Romanticismo”, “Paesaggi delle Madonie” “Canti”, “Santo Onofrio” e l’appendice “Poesie in dialetto siciliano”. Concludiamo con qualche verso di un sonetto della sezione ” Paesaggi delle Madonie intitolato Engio: Turrita, e di finestre crivellata Per l’aperta montagna Engio si stende; e a guardarla divaria a gradinata nel mentre il sol la fide e su vi splende.

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Poeta, storico,critico direttore didattico membro della Società Siciliana per la storia Patria, medaglia d’argento del Ministero della P.I.

Nasce da Biagio Alaimo e Rosa Passalacqua nel 1877. Non si conosce la data di morte, si hanno notizie di lui sino al 1950.

Lasciò molte pubblicazioni, fra cui il saggio critico-storico su G. Salerno “Lo Zoppo di Gangi” e l’altro su Giuseppe Fedele Vitale-Salvo.

Come poeta dialettale è autore de la “Vigna” poema a cui affidò le antiche vicende di Gangi fino al 1366, poi di “Fiori e Lacrime” raccolta di sonetti, poesie varie, canti in lingua e poesie in dialetto ed inoltre dei “Canti di Tripoli e dell’Egeo” che esaltano le eroiche gesta dei soldati italiani in Libia.

La “Vigna” (su cui soffermiamo l’attenzione in quanto parla di Gangi) è poema siciliano di 8 canti in ottave siciliane. E’ un viaggio fantastico nella storia di Gangi fino al 1366 farcito di aneddoti curiosità racconti fantastici, presi con sapienza dalla spendida dialettica tra l’io narrante e “u Zu Puddu Muntisano”, metafora del vecchio saggio gangitano “Ia sugnu lu zu Puddu Muntisanu l’amicu di lu nannu di to nannu,l’anticu malantrinu gangitanu”.

Ad Introduzione di ogni canto il poeta pone “l’argomentu” strofa in ottave sunto del canto.
L’argomento del primo canto ci introduce pienamente nella vicenda:

Mentri annettu la vigna, ‘na caverna
Si grapi, e spunta un vecchiu gangitanu,
Chi ‘nta ‘na sala pi ‘na strata interna
Mi guida d’un palazzu suttirranu,
Cci apprunta ddà, pusata la lucerna,
Da manciari un fullettu ammanu ammanu.
Passatu ‘ntra ‘na villa dda sutta
Restu a dormiri sulu ‘nta na grutta.

Nel 1950 il F.A. aveva 73 anni esce “Fiori e Lacrime” raccolta di poesie quasi esclusivamente in lingua italiana,eccetto l’appendice di 16 poesie in dialetto siciliano.

L’opera ci mostra un Alaimo in gran vena versatile perfettamente compreso della materia letteriaria che maneggia abilmente”.(R. Cortimiglia).
Siamo alla maturità che delinea e definisce i contorni dell’artista.

L’opera è composta da 6 corpus più un appendice “Poesie varie”, “Romanticismo”, “Paesaggi delle Madonie” “Canti”, “Santo Onofrio” e l’appendice “Poesie in dialetto siciliano”.
Concludiamo con qualche verso di un sonetto della sezione ” Paesaggi delle Madonie intitolato Engio:

Turrita, e di finestre crivellata
Per l’aperta montagna Engio si stende;
e a guardarla divaria a gradinata
nel mentre il sol la fide e su vi splende.

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Francesco Paolo Polizzano https://www.comune.gangi.pa.it/turismo/francesco-paolo-polizzano/ Mon, 23 Dec 2019 09:50:54 +0000 http://www.comune.gangi.pa.it/?post_type=turismo&p=2321 F. P. Polizzano nacque a Gangi il 25.03.1857 in una casa di via Gallo n.3 (oggi a lui intitolata). All’Ufficio di Stato Civile del comune di Gangi il suo atto di nascita porta il n. 133 parte P., mentre l’atto di battesimo, che si conserva nell’archivio della Parrocchia di San Nicolò, reca la data del 26 marzo 1837 Gangi, era a quei tempi un paese di circa 9000 abitanti, in gran parte contadini, pochi commercianti e alcuni grossi feudatari. Il Poeta trascorse la fanciullezza in questo ambiente, educato dalla madre, Litteria Randazzo, a cui era molto legato e dal padre Giuseppe Polizzano, particolarmente stimato. Frequentò fino alla terza classe, che allora rappresentava, del resto, tutto il corso elementare. Continuò i suoi studi con l’aiuto di due dotti sacerdoti del tempo. D. Erasmo Sauro, prima, e dopo, D. Gaetano Lo Presti, “educatore, filosofo e poeta, autore di una raccolta di poesie in lingua italiana, uomo colto, geniale, che seppe risvegliare in lui l’amore per la poesia, ma anche nobili virtù civili e religiose che da grande testimonierà nel suo impegno umano, civile e poetico. A vent’anni (dopo l’unità d’Italia) venne chiamato alla armi, e fù assegnato prima al corpo dei bersaglieri e successivamente nella fanteria, ove ricoprì i gradi di sergente, rimanendo assente da casa ben tre anni trascorsi in gran parte presso la caserma Stulla di Genova. Sposerà, il 6.7.1887, Rosaria Balsamello, colei che sarà nei suoi versi di volta in volta Sara, Saridda, Rosa, Rosaria, e alla quale sia durante la vita che dopo la morte dedicò alcune delle più belle liriche. Poeta, commerciante, filantropo; quest’ultimo attributo fu anch’esso ben meritato, poiché profuse molte delle sue energie e del suo tempo per aiutare i poveri e gli orfani. Fu vice presidente della Congregazione della Carità (l’attuale Orfanatrofio del Carmine). Ai figli (Litteria, rimasta nubile e Peppe che sposò Domenica Angilello) alla moglie (Rosaria) ed ai nipoti (Anna Maria, Antonietta, insegnanti, Francesco Paolo, famoso notaio ancora vivente, Aldo, dottore in Geologia), dedicò alcune delle più belle rime, intrise di profondo ed immenso affetto, tutto ciò denota la profonda sensibilità del nostro autore. Alcune rime del Polizzano rimasero inedite, la maggior parte sono raccolte in un volume, pubblicato nel 1934, dal titolo <>, divise per argomento, in: religiose, patriottiche, intime, dialoghi e varie. Le sue rime sono spontanee. Si ispirano ad eventi familiari, paesani e ad angustie personali. Sono tutte permeate da un grande senso di bontà e di profonda pietà, espressione del sentimento religioso, vivo e palpitante che lo animò sempre; bonario nella satira, rassegnato nel dolore, acceso nell’amor di Patria e nell’amore per il paese natio. Abile ed esperto commerciante, visse del lavoro del suo negozio, aperto nel 1880, nel corso principale all’angolo della Via San Mercurio al numero civico 116. si dedica con molta cura, oltre che al negozio, al suo podere sito in contrada “Tribrazza” dove partecipa a tutti i principali momenti della vita agricola, che riferisce in alcune delle sue poesie, ciò denota il profondo attaccamento alla terra, alla vita ed alle vicende del suo paese, e il grande sentimento religioso. E’ molto frequente trovare nei suoi versi un tessuto di riflessioni etico-sociali, di motti arguti, ed esemplificativi che dovrebbero spingere gli uomini sulla “retta via”, il tutto espresso mediante una lingua, che trova nella forma dialettale non poca efficacia. Riportiamo qualche saggio della sua vena poetica. CHISTU JU POTTI FARI E CHISTU FICI. E NN’HAIU PENA SI NUN VI PIACI: MA VUI SAPITI GIA’ COMU SI DICI: OGNUNU FA CHIDDU CH’E’ CAPACI: COMUNQUI SUGNU CUNTENTI E FILICI, D’AVIRI FATTU CU SENZU VERACI, CHIDDU CHI M’ADDITARU IN ARMUNIA L’INTELLETTU, LU CORI E L’ARMA MIA. (Exordia) PRI OTTINIRI PERO’ TUTTU STU BENI MASTRI E VIDDANI E OGNUNU SI CAMPA, UNICAMENTI DI LU SO’ TRAVAGGHIU… ‘MPRESSU A LA MENTI, FACENNU LA VIA: “TRAVAGGHIU, ONURI, AMURI ED ARMUNIA” (Dialogu V) ‘ATA SAPIRI GIA’ PRIMA DI TUTTU, CA LU PRIMU FU DIO CHI VOSI FARI LI SOCIETA’, D’UNNI VINNI LU MUTTI: LA FORZA L’UNIONI LA PO’ DARI, DICIENNU, CA LA CORDA MISA ‘NTRI’ NUN CI FU NUDDU MAI CHI LA RUMPI’. (Dialogu VIII)   E’ distinu chi purtai ‘Na nuttata passata a Palermu ”ntra ‘na stanza ‘nsiemi a n’amicu carissi mu – la prima siria chi cci arrivai – E’ distino chi purtai; accussì pari ca fussi… Unni abbitu e unni dormu cci avi ad esseri cu’ tussi… ‘Ncasa mia, pri mia fortuna, cc’e cu’ canta sta canzuna; e a Palermu ‘u mi nni scippu, cc’e chi tussi Don Filippu… Don Filippu ‘un perdi tempu, Don Filippu ‘un cugghiunia, quannu un tussi e s’addurmisci fittu fittu runfulia. Cu sta solfa in sol e dò a mia sonnu ‘un mi nni pò. E si jamu pri assummari, mai mi pozzu ripusari Quannu vaju mparaddisu, si Diu voli ca cci trasu, in qualunchi postu misu, tranni poi chi fussi un casu, cci sarrà vicinu a mia in dulcissima armunia, bench’a bonu postu fussi, anchi n’ancilu chi tussi !…   Lu nomu di Rosa (Epigramma) La rosa è la reggina di li sciuri, ed è lu sciuri chi cchiui si fa amari: lu so fraganti e dilicatu oduri di gioia fa lu cori inebriari. La rosa esprimi cu vivu fervuri di primavera li soi preggi rari. Ha tra li sciuri lu postu d’onuri, li virgini e li spusi pri adurnari. “Na facci bedda di bonu culuri facci di rosa si soli chiamari. Sinu all’artari di Nostru Signuri la rosa è sciuri chi nun pò mancari…. E’ ‘na granni fortuna, è ‘na gran cosa pri ‘na picciotta chi si chiama ROSA!   Ricchizzi e paci Ricchi, ricchizzi, gran possedimenti gira, vota e firria chi cosa su’, si su’ turbati lu cori e la menti?… Sunnu zeru e va zeru e nenti cchiu… Lu casu poi cchiù tristu aspettu pigghia si la paci nun c’è ‘ntra la famigghia. La paci, ch’è sorgenti d’ogni beni, d’ogni eccelsa virtù ti avi l’essenza, stu gran tesoru dintra a sé cunteni fidi, amuri, bontà sennu e prudenza. Li peni e li turmenti raddulcisci e di li gioi la biddizza accrisci…. E’ veru l’oru ch’ha lu so valuri, però a lu spissu si cancia in velenu… ‘Nveci la paci, tra stenti e suduri, dà sempri a l’omu l’animu serenu… E cchiu potenti si senti di un re si ‘ntra la casa so’ la paci cc’è.   ‘N’alba lunari Mentri, pigghiatu di malancunia era ‘ncampagna ‘na sira di scuru, mentri chi tuttu nïuru vidia, e di tristizza sempri cchiui mi accuru; quannu tutta la terra mi parìa locu di pena e di carciri duru, viju spuntari l’arba di la luna chi di cunfortu, na scossa mi duna. Cchiù vivu si facìa lu so chiaruri cchiu lu me’ cori sentu sullivari; e mi sdrivigghiu da lu gran turpuri quannu la luna cumincia a spuntari. Mentri chi acchiana dda facci d’amuri d’arcana gioia mettu a respirari: quannu da l’onzzonti è tutta fori, ju sentu arrivisciutu lu me’ cori. Estaticu la guardu; idda mi ridi, e mi dici amurevuli imponenti: “l’omu chi comu a tia custanti cridi a l’eternu avveniri, e ‘u nn’avi, e ‘un senti nuddu rimorsu, e in Diu riponi fidi, è di l’umani tra li cchiù potenti. Tu di tanta tristizza hai ‘na firita;… Pensa a li gioi di l’eterna vita!..” Chidda terrestri in paraguni è un sonnu un brevi sonnu chi veloci passa: la sua celerità frenarla ‘un ponnu tutti li forzi umani uniti in massa. Li gran decreti arcani accussì vonnu ca prestu l’omu ssa vita la lassa. Di ssa vita, chi sulu un sonnu fù, chi resta?… sulamenti la virtù… E la virtù, chi eterna comu Diu, di cui è pumogenita diletta unita strittamenti a lu to’ ju, ti sarrà guida e la citati eletta di lu celesti regnu arcanu e più, chi li giusti morenti accogghi e aspetta. Stai letu, adunca, tranquillu e serenu, e lu cunfortu mai ti vegna menu. Tu già lu vidi, ju nasciu e poi tramuntu, comu lu suli fa da lu so’ cantu. Poi rinascemu, e semu sempi a un puntu cu moriri e rinasciri. Ed è quantu basta pri cunfirmari lu me’ assuntu: giammai lu ciatu di la vita è infrantu, e’ l’eternu distinu chi fu datu a tuttu quantu fu da Diu crëatu. Ccà si zittiju; e, sempri siquitannu a sulcari li campi di lu celu, ju liberu oramai da lu me’ affannu, la miru cu delizia, amuri e zelu, ‘nta la sua mäistà; pri sinu a quannu Morfeu supra a mia stinniu lu velu. Oh quali gioia e cunfortu mi duna riguardari ddu nasciri di luna!…   Sasà Cchiù tempu passa, cchiui ti vogghiu beni; si’ tu, Sasà, si’ tu ca ti fa’ amari; quannu ti viju lu cori mi veni, di tia luntanu nun ci pozzu stari: si’ tu chi raddolcisci li me peni, si, tu ca sempri mi sa’ cunsulari: cu dda palora duci mi ristori, la tua palora mi sana lu cori. Tu si ‘na Rosa, chi cchiù va passannu, manna cchiù gratu oduri e cchiù fraganza. Rosa bedda sì tu, megghiu di quannu cu tia firmava l’eterna allëanza; Rosa bedda sì tu megghiu di tannu, rosa ca di frischizza sempri avanza pirchì cchiù passa bedda si fa la granni dota di li toi bontà. Ogni fogghia.chi cadi di sta, rosa è nu scaluni chi scinni la mè casa, unni tu duni vita ad ogni cosa, ed ogni cosa ti ridi e ti vasa. No, lu me’ cori ‘un pò truvari posa s’iddu l’alitu to di mia s’arrasa: tu si’ la gioia, tu si’ l’armunia, si’ lu tesoru di la vita mia!… Maggio 1914   Matri!… La Matri è lu tesoru di la vita fonti perenni di süavi affetti, l’ancilu tutelari, chi nn’addita li virtù santi e li pinseri retti. L’amuri di la Matri è accussì forti cu pri li figghi ‘un temi peni e morti!… Di quannu è concepita l’esistenza dintra lu senu so, senza esitanza, ad amari e soffriri idda accumenza; ed ama… e soffri cu fidi e speranza…. e suffrennu, d’amuri palpitanti, cun ansia aspetta lu speratu istanti… Ogni natu di donna, chi nun senti di tuttu cori e cu tuttu l’arduri forti, vivu, sinceru, permanenti pri la Mammuzza sò tuttu la’ amuri è peju di li bruti, è vili, è ingratu: megghiu a lu munnu nun avissi natu… Spasimanti, la Mamma è sempri in pena si di li figghi soi nni sta luntana… Quannu vicini l’ha si rasserena, e di la gioia ‘mparadisu acchiana… E’ sublimi la Mamma ‘ntra l’amuri… ma cchiù sublimi è assai ‘ntra lu duluri!… Mamma!.. Mammuzza mia, lu nomu To ognura ‘mpressu a lu cori mi sta. To figghiu sempri invocari ti vo n’ogni gioia, in ogni avversità…. Sentu ‘ntra l’arma ‘n’arcana armunia quannu dicu e ripetu: Mamma mia!!… Mi duna ogni cunfortu ogni alligria lu duci nomu Tò, Mammuzza mia!… Dicembre 1931   Cui è? Doppu un ghiornu di travagghiu stenti, affanni e dispiacira, quannu torna poi la sira quantu beddu ddu “cui è”? Mi ristora, m’arricrìa, mi sulleva di li peni, ah! lu cori a mia mi veni, quannu sentu ddu “cui è”? E’ mè figghia chi rispunni, quannu arrivu e tuppuliu, mi ristoru, m’arricriu, quannu sentu ddu “cui è”? Oh! li gioi di la famigghia, quantu su’ sublimi e cari…. ‘ntra l’angustii li cchiù amari oh! chi balsamu chi sù! Biniditta la famigghia, veru tempiu di l’amuri, quannu regnanu a tutti l’uri paci sennu e fedeltà!…   Maria Al la Sig.ra Lucia Virgillito Fra li cosi cchiù beddi e sorprendenti ch’esistinu ‘ntra tuttu lu crëatu, tra l’affetti cchiu puri e cchiu innocenti, chi toccanu lu cori d’ogni natu, nudda cosa è biddizza ed armonia quantu lu nomu beddu di Maria. Cchiu bedda di lu suli e di la luna, cchiù sorridenti di la primavera; stiddda cchiù risplendenti ‘un ci nn’è una si tu rimiri la celesti sfera, nenti porta biddizza ed armunia quantu lu nomu beddu di Maria. Di profumu cchiù grati e cchiù odorusi, chi sullevanu sensi ed intellettu; di soni e canti li cchiù armunïusi, chi dunanu a lu cori gran dilettu, nenti duna cunfortu ed armunia quantu lu nomu beddu di Maria. Circunfusa di grazii e di splenduri, è la fonti perenni d’ogni beni; potenti ispiratrici di l’amuri, cunsulatrici di tutti li peni. Nenti duna cunfortu ed alligria comu lu nomu beddu di Maria. Matri di carietà, raggiu di paci, è simbulu di tutti li virtù; potenza eterna, nobili e veraci, è Mamma di lu nostru Diu Gesù. Nudda potenza ha tanta signuria quantu lu nomu beddu di Maria. E’ lu megghiu tesoru di la fidi, e di la fidi la stidda polari. Ognunu chi custanti in Idda cridi, in qualunchi timpesta ‘un po’ annigari. Ogni salvizza e cunfortu chi sia è ‘ntra lu nomu beddu di Maria. Li genti cchiù putenti e cchiù elevati, ch’hannu ‘nta l’arti immortali bravura, ‘ntra li slanci cchiù fervidi ispirati esaltanu I’angelica figura cu granni e purtintusa maïstria di la Divina Vergini Maria. Ed ogni artista, valenti cchiù o menu, circa a trattari quantu megghiu po’ ‘ntra li momenti d’estru cchiù serenu, giusta li sensi e la purtata so, li formi beddi e la fisionamia di la divina Vergini Maria. Ed oggi infatti ‘nta stu locu santu* pri meritu di un abili scarpeddu, nasci d’un lignu già, comu pri ‘ncantu un novu aspettu assai leggiadru e beddu, ch’ispira riverenza ed alligria pri la divina Vergini Maria. (*) Nella Chiesa della SS. Trinità in Gangi per l’inaugurazione della statua della Madonna del Divin Parto

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F. P. Polizzano nacque a Gangi il 25.03.1857 in una casa di via Gallo n.3 (oggi a lui intitolata).

All’Ufficio di Stato Civile del comune di Gangi il suo atto di nascita porta il n. 133 parte P., mentre l’atto di battesimo, che si conserva nell’archivio della Parrocchia di San Nicolò, reca la data del 26 marzo 1837 Gangi, era a quei tempi un paese di circa 9000 abitanti, in gran parte contadini, pochi commercianti e alcuni grossi feudatari.

Il Poeta trascorse la fanciullezza in questo ambiente, educato dalla madre, Litteria Randazzo, a cui era molto legato e dal padre Giuseppe Polizzano, particolarmente stimato.

Frequentò fino alla terza classe, che allora rappresentava, del resto, tutto il corso elementare.

Continuò i suoi studi con l’aiuto di due dotti sacerdoti del tempo. D. Erasmo Sauro, prima, e dopo, D. Gaetano Lo Presti, “educatore, filosofo e poeta, autore di una raccolta di poesie in lingua italiana, uomo colto, geniale, che seppe risvegliare in lui l’amore per la poesia, ma anche nobili virtù civili e religiose che da grande testimonierà nel suo impegno umano, civile e poetico.

A vent’anni (dopo l’unità d’Italia) venne chiamato alla armi, e fù assegnato prima al corpo dei bersaglieri e successivamente nella fanteria, ove ricoprì i gradi di sergente, rimanendo assente da casa ben tre anni trascorsi in gran parte presso la caserma Stulla di Genova.

Sposerà, il 6.7.1887, Rosaria Balsamello, colei che sarà nei suoi versi di volta in volta Sara, Saridda, Rosa, Rosaria, e alla quale sia durante la vita che dopo la morte dedicò alcune delle più belle liriche.

Poeta, commerciante, filantropo; quest’ultimo attributo fu anch’esso ben meritato, poiché profuse molte delle sue energie e del suo tempo per aiutare i poveri e gli orfani. Fu vice presidente della Congregazione della Carità (l’attuale Orfanatrofio del Carmine).

Ai figli (Litteria, rimasta nubile e Peppe che sposò Domenica Angilello) alla moglie (Rosaria) ed ai nipoti (Anna Maria, Antonietta, insegnanti, Francesco Paolo, famoso notaio ancora vivente, Aldo, dottore in Geologia), dedicò alcune delle più belle rime, intrise di profondo ed immenso affetto, tutto ciò denota la profonda sensibilità del nostro autore.

Alcune rime del Polizzano rimasero inedite, la maggior parte sono raccolte in un volume, pubblicato nel 1934, dal titolo <>, divise per argomento, in: religiose, patriottiche, intime, dialoghi e varie.

Le sue rime sono spontanee. Si ispirano ad eventi familiari, paesani e ad angustie personali.

Sono tutte permeate da un grande senso di bontà e di profonda pietà, espressione del sentimento religioso, vivo e palpitante che lo animò sempre; bonario nella satira, rassegnato nel dolore, acceso nell’amor di Patria e nell’amore per il paese natio.

Abile ed esperto commerciante, visse del lavoro del suo negozio, aperto nel 1880, nel corso principale all’angolo della Via San Mercurio al numero civico 116. si dedica con molta cura, oltre che al negozio, al suo podere sito in contrada “Tribrazza” dove partecipa a tutti i principali momenti della vita agricola, che riferisce in alcune delle sue poesie, ciò denota il profondo attaccamento alla terra, alla vita ed alle vicende del suo paese, e il grande sentimento religioso.

E’ molto frequente trovare nei suoi versi un tessuto di riflessioni etico-sociali, di motti arguti, ed esemplificativi che dovrebbero spingere gli uomini sulla “retta via”, il tutto espresso mediante una lingua, che trova nella forma dialettale non poca efficacia.

Riportiamo qualche saggio della sua vena poetica.

CHISTU JU POTTI FARI E CHISTU FICI.
E NN’HAIU PENA SI NUN VI PIACI:
MA VUI SAPITI GIA’ COMU SI DICI:
OGNUNU FA CHIDDU CH’E’ CAPACI:
COMUNQUI SUGNU CUNTENTI E FILICI,
D’AVIRI FATTU CU SENZU VERACI,
CHIDDU CHI M’ADDITARU IN ARMUNIA
L’INTELLETTU, LU CORI E L’ARMA MIA.
(Exordia)

PRI OTTINIRI PERO’ TUTTU STU BENI
MASTRI E VIDDANI E OGNUNU SI CAMPA,
UNICAMENTI DI LU SO’ TRAVAGGHIU…
‘MPRESSU A LA MENTI, FACENNU LA VIA:
“TRAVAGGHIU, ONURI, AMURI ED ARMUNIA”
(Dialogu V)

‘ATA SAPIRI GIA’ PRIMA DI TUTTU,
CA LU PRIMU FU DIO CHI VOSI FARI
LI SOCIETA’, D’UNNI VINNI LU MUTTI:
LA FORZA L’UNIONI LA PO’ DARI,
DICIENNU, CA LA CORDA MISA ‘NTRI’
NUN CI FU NUDDU MAI CHI LA RUMPI’.
(Dialogu VIII)

 

E’ distinu chi purtai
‘Na nuttata passata a Palermu ”ntra
‘na stanza ‘nsiemi a n’amicu carissi mu
– la prima siria chi cci arrivai –

E’ distino chi purtai;
accussì pari ca fussi…
Unni abbitu e unni dormu
cci avi ad esseri cu’ tussi…
‘Ncasa mia, pri mia fortuna,
cc’e cu’ canta sta canzuna;
e a Palermu ‘u mi nni scippu,
cc’e chi tussi Don Filippu…

Don Filippu ‘un perdi tempu,
Don Filippu ‘un cugghiunia,
quannu un tussi e s’addurmisci
fittu fittu runfulia.
Cu sta solfa in sol e dò
a mia sonnu ‘un mi nni pò.
E si jamu pri assummari,
mai mi pozzu ripusari

Quannu vaju mparaddisu,
si Diu voli ca cci trasu,
in qualunchi postu misu,
tranni poi chi fussi un casu,
cci sarrà vicinu a mia
in dulcissima armunia,
bench’a bonu postu fussi,
anchi n’ancilu chi tussi !…

 

Lu nomu di Rosa
(Epigramma)

La rosa è la reggina di li sciuri,
ed è lu sciuri chi cchiui si fa amari:
lu so fraganti e dilicatu oduri
di gioia fa lu cori inebriari.
La rosa esprimi cu vivu fervuri
di primavera li soi preggi rari.
Ha tra li sciuri lu postu d’onuri,
li virgini e li spusi pri adurnari.
“Na facci bedda di bonu culuri
facci di rosa si soli chiamari.
Sinu all’artari di Nostru Signuri
la rosa è sciuri chi nun pò mancari….

E’ ‘na granni fortuna, è ‘na gran cosa
pri ‘na picciotta chi si chiama ROSA!

 

Ricchizzi e paci

Ricchi, ricchizzi, gran possedimenti
gira, vota e firria chi cosa su’,
si su’ turbati lu cori e la menti?…
Sunnu zeru e va zeru e nenti cchiu…
Lu casu poi cchiù tristu aspettu pigghia
si la paci nun c’è ‘ntra la famigghia.

La paci, ch’è sorgenti d’ogni beni,
d’ogni eccelsa virtù ti avi l’essenza,
stu gran tesoru dintra a sé cunteni
fidi, amuri, bontà sennu e prudenza.
Li peni e li turmenti raddulcisci
e di li gioi la biddizza accrisci….

E’ veru l’oru ch’ha lu so valuri,
però a lu spissu si cancia in velenu…
‘Nveci la paci, tra stenti e suduri,
dà sempri a l’omu l’animu serenu…
E cchiu potenti si senti di un re
si ‘ntra la casa so’ la paci cc’è.

 

‘N’alba lunari

Mentri, pigghiatu di malancunia
era ‘ncampagna ‘na sira di scuru,
mentri chi tuttu nïuru vidia,
e di tristizza sempri cchiui mi accuru;
quannu tutta la terra mi parìa
locu di pena e di carciri duru,
viju spuntari l’arba di la luna
chi di cunfortu, na scossa mi duna.

Cchiù vivu si facìa lu so chiaruri
cchiu lu me’ cori sentu sullivari;
e mi sdrivigghiu da lu gran turpuri
quannu la luna cumincia a spuntari.
Mentri chi acchiana dda facci d’amuri
d’arcana gioia mettu a respirari:
quannu da l’onzzonti è tutta fori,
ju sentu arrivisciutu lu me’ cori.

Estaticu la guardu; idda mi ridi,
e mi dici amurevuli imponenti:
“l’omu chi comu a tia custanti
cridi a l’eternu avveniri, e ‘u nn’avi,
e ‘un senti nuddu rimorsu,
e in Diu riponi fidi, è di
l’umani tra li cchiù potenti.
Tu di tanta tristizza hai ‘na firita;…
Pensa a li gioi di l’eterna vita!..”

Chidda terrestri in paraguni
è un sonnu un brevi sonnu
chi veloci passa: la sua celerità
frenarla ‘un ponnu tutti li forzi
umani uniti in massa.

Li gran decreti arcani accussì vonnu
ca prestu l’omu ssa vita la lassa.
Di ssa vita, chi sulu un sonnu fù,
chi resta?… sulamenti la virtù…

E la virtù, chi eterna comu Diu,
di cui è pumogenita diletta
unita strittamenti a lu to’ ju,
ti sarrà guida e la citati eletta
di lu celesti regnu arcanu e più,
chi li giusti morenti accogghi e aspetta.
Stai letu, adunca, tranquillu e serenu,
e lu cunfortu mai ti vegna menu.

Tu già lu vidi, ju nasciu e poi tramuntu,
comu lu suli fa da lu so’ cantu.
Poi rinascemu, e semu sempi a un puntu
cu moriri e rinasciri. Ed è quantu
basta pri cunfirmari lu me’ assuntu:
giammai lu ciatu di la vita è infrantu,
e’ l’eternu distinu chi fu datu
a tuttu quantu fu da Diu crëatu.

Ccà si zittiju; e, sempri siquitannu
a sulcari li campi di lu celu,
ju liberu oramai da lu me’ affannu,
la miru cu delizia, amuri e zelu,
‘nta la sua mäistà; pri sinu a quannu
Morfeu supra a mia stinniu lu velu.
Oh quali gioia e cunfortu
mi duna riguardari ddu nasciri di luna!…

 

Sasà

Cchiù tempu passa, cchiui ti vogghiu beni;
si’ tu, Sasà, si’ tu ca ti fa’ amari;
quannu ti viju lu cori mi veni,
di tia luntanu nun ci pozzu stari:
si’ tu chi raddolcisci li me peni,
si, tu ca sempri mi sa’ cunsulari:
cu dda palora duci mi ristori,
la tua palora mi sana lu cori.

Tu si ‘na Rosa, chi cchiù va passannu,
manna cchiù gratu oduri e cchiù fraganza.
Rosa bedda sì tu, megghiu di quannu
cu tia firmava l’eterna allëanza;
Rosa bedda sì tu megghiu di tannu,
rosa ca di frischizza sempri avanza
pirchì cchiù passa bedda si fa
la granni dota di li toi bontà.

Ogni fogghia.chi cadi di sta, rosa
è nu scaluni chi scinni la mè casa,
unni tu duni vita ad ogni cosa,
ed ogni cosa ti ridi e ti vasa.
No, lu me’ cori ‘un pò truvari posa
s’iddu l’alitu to di mia s’arrasa:
tu si’ la gioia, tu si’ l’armunia,
si’ lu tesoru di la vita mia!…

Maggio 1914

 

Matri!…

La Matri è lu tesoru di la vita
fonti perenni di süavi affetti,
l’ancilu tutelari, chi nn’addita
li virtù santi e li pinseri retti.
L’amuri di la Matri è accussì forti
cu pri li figghi ‘un temi peni e morti!…

Di quannu è concepita l’esistenza
dintra lu senu so, senza esitanza,
ad amari e soffriri idda accumenza;
ed ama… e soffri cu fidi e speranza….
e suffrennu, d’amuri palpitanti,
cun ansia aspetta lu speratu istanti…

Ogni natu di donna, chi nun senti
di tuttu cori e cu tuttu l’arduri
forti, vivu, sinceru, permanenti
pri la Mammuzza sò tuttu la’ amuri
è peju di li bruti, è vili, è ingratu:
megghiu a lu munnu nun avissi natu…

Spasimanti, la Mamma è sempri in pena
si di li figghi soi nni sta luntana…
Quannu vicini l’ha si rasserena,
e di la gioia ‘mparadisu acchiana…
E’ sublimi la Mamma ‘ntra l’amuri…
ma cchiù sublimi è assai ‘ntra lu duluri!…

Mamma!.. Mammuzza mia, lu nomu To
ognura ‘mpressu a lu cori mi sta.
To figghiu sempri invocari ti vo
n’ogni gioia, in ogni avversità….
Sentu ‘ntra l’arma ‘n’arcana armunia
quannu dicu e ripetu: Mamma mia!!…
Mi duna ogni cunfortu ogni alligria
lu duci nomu Tò, Mammuzza mia!…

Dicembre 1931

 

Cui è?

Doppu un ghiornu di travagghiu
stenti, affanni e dispiacira,
quannu torna poi la sira
quantu beddu ddu “cui è”?

Mi ristora, m’arricrìa,
mi sulleva di li peni,
ah! lu cori a mia mi veni,
quannu sentu ddu “cui è”?

E’ mè figghia chi rispunni,
quannu arrivu e tuppuliu,
mi ristoru, m’arricriu,
quannu sentu ddu “cui è”?

Oh! li gioi di la famigghia,
quantu su’ sublimi e cari….
‘ntra l’angustii li cchiù amari
oh! chi balsamu chi sù!

Biniditta la famigghia,
veru tempiu di l’amuri,
quannu regnanu a tutti l’uri
paci sennu e fedeltà!…

 

Maria
Al la Sig.ra Lucia Virgillito

Fra li cosi cchiù beddi e sorprendenti
ch’esistinu ‘ntra tuttu lu crëatu,
tra l’affetti cchiu puri e cchiu innocenti,
chi toccanu lu cori d’ogni natu,
nudda cosa è biddizza ed armonia
quantu lu nomu beddu di Maria.

Cchiu bedda di lu suli e di la luna,
cchiù sorridenti di la primavera;
stiddda cchiù risplendenti ‘un ci nn’è una
si tu rimiri la celesti sfera,
nenti porta biddizza ed armunia
quantu lu nomu beddu di Maria.

Di profumu cchiù grati e cchiù odorusi,
chi sullevanu sensi ed intellettu;
di soni e canti li cchiù armunïusi,
chi dunanu a lu cori gran dilettu,
nenti duna cunfortu ed armunia
quantu lu nomu beddu di Maria.

Circunfusa di grazii e di splenduri,
è la fonti perenni d’ogni beni;
potenti ispiratrici di l’amuri,
cunsulatrici di tutti li peni.
Nenti duna cunfortu ed alligria
comu lu nomu beddu di Maria.

Matri di carietà, raggiu di paci,
è simbulu di tutti li virtù;
potenza eterna, nobili e veraci,
è Mamma di lu nostru Diu Gesù.
Nudda potenza ha tanta signuria
quantu lu nomu beddu di Maria.

E’ lu megghiu tesoru di la fidi,
e di la fidi la stidda polari.
Ognunu chi custanti in Idda cridi,
in qualunchi timpesta ‘un po’ annigari.
Ogni salvizza e cunfortu chi sia
è ‘ntra lu nomu beddu di Maria.

Li genti cchiù putenti e cchiù elevati,
ch’hannu ‘nta l’arti immortali bravura,
‘ntra li slanci cchiù fervidi ispirati
esaltanu I’angelica figura
cu granni e purtintusa maïstria
di la Divina Vergini Maria.

Ed ogni artista, valenti cchiù o menu,
circa a trattari quantu megghiu po’
‘ntra li momenti d’estru cchiù serenu,
giusta li sensi e la purtata so,
li formi beddi e la fisionamia
di la divina Vergini Maria.

Ed oggi infatti ‘nta stu locu santu*
pri meritu di un abili scarpeddu,
nasci d’un lignu già, comu pri ‘ncantu
un novu aspettu assai leggiadru e beddu,
ch’ispira riverenza ed alligria
pri la divina Vergini Maria.

(*) Nella Chiesa della SS. Trinità in Gangi per l’inaugurazione della statua della Madonna del Divin Parto

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Giuseppe Fedele Vitale https://www.comune.gangi.pa.it/turismo/giuseppe-fedele-vitale/ Mon, 23 Dec 2019 09:47:57 +0000 http://www.comune.gangi.pa.it/?post_type=turismo&p=2319 Giuseppe Fedele Vitale-Salvo, sacerdote, poeta e medico, è uno dei più illustri figli della città di Gangi. Fu poeta dell’Arcadia, segretario per molti anni dell’Accademia degli Industriosi. Discendente di un nobile casato, venuto a Gangi da Palermo nel 1600 circa. Giuseppe Fedele nacque il 10 Aprile 1734 da Francesco Antonio ,medico e da Maria Salvo nobildonna. Ebbe impartita un’educazione signorile e per la parte istruttiva ebbe a maestro D. Francesco Pepe da S. Mauro. Continuò gli studi a Palermo, dimostrando fin da ragazzo, una spiccata tendenza per la poesia. Nel 1752 entrò nel collegio Massimo dei Gesuiti. Dopo gli anni di Teologia, venne ordinato sacerdote. Iniziò, quindi venendo incontro alla propria inclinazione e ad una tradizione di famiglia, lo studio della medicina che completò all’Università di Catania, ove conseguì la laurea a pieni voti e la lode nel 1758. Durante gli anni universitari ebbe occasione di frequentare a Catania l’Accademia degli Etnei. Trasferitosi in Palermo, fu qui molto apprezzato nell’accademia del Buon Gusto, degli Ereini e degli Uniti di Cortona per la sua dottrina e per la sua facile vena poetica. Studiò con molto profitto presso un collegio di Padri Gesuiti. Ben si fece una straordinaria reputazione come medico, nella cui professione, come affermano i suoi immediati biografi, precorse molte teorie mediche. Divenuto cieco a 38 anni, in seguito ad una complicazione di gotta, il tribunale, in seguito ad un consulto di medici famosi dichiarò:- “il Cieco non solo poteva addirittura medicare ,ma anche nelle Epidemie sarebbe ottimamente fatto il non appigliarsi a cura veruna senza la direzione del Cieco Vitale”. Predilesse come abbiamo accennato, oltre agli studi pertinenti la sua professione, anche la poesia e in particolar modo le opere del Tasso e del Trissino che esercitarono su di lui un’influenza decisiva. Nell’anno stesso della sua cecità concepì di scrivere un poema eroico” La Sicilia Liberata” ,come argomento scelse l’epopea siciliana della cacciata dei Mori, come eroe Ruggero “Nobili di cori “e ginirusu in tutti li maneri”. “La Sicilia Liberata” il cui titolo integrale “La Sicilia liberata dai Mori” richiama già nel titolo oltre che nell’evoluzione del poema il grande modello “la Gerusalemme Liberata” del Tasso e “l’Italia Liberata del Trissino. E’ proprio nella eccessiva influenza di questi poeti sul Vitale, la critica indica un limite fondamentale dell’opera dell’Autore gangitano. Nello stralcio del Camilleri sul Vitale rinvenuto in biblioteca leggiamo una citazione di un suo ignoto biografo:-” Preso dalla ispirazione gli si rizzavano i capelli, enfiavano le vene della fronte, e prorompendo in versi era d’uopo di scrivere con assai speditezza ,tanto essi gli scorrevano agevolmente”. L’estemporaneità si nota e nuoce, conclude l’ignoto biografo perché significa spesso deficienza di travaglio creativo, superfluità prolissità, mancanza di misura, difetti tutti che il Vitale, pur fra molti pregi ebbe tutti. Il poema si compone di circa trentamila versi ( più del doppio della Divina Commedia ),ed è ricco di avvenimenti, straordinario per varietà di rime, per similitudini sempre proprie, spontanee, per immagini spesso originalissime. Il Giovanni Meli uno dei più grandi poeti in dialetto siciliano, autore tra l’altro del poemetto “bucolica” una delle pietre miliari della poesia siciliana, scrisse:- “Questo sarebbe un poema eroico di prim’ordine, se si sfrondasse di alcuni episodi belli ma superflui e se il dialetto non fosse macchiato spesso da voci e maniere italiane”. A sua discolpa vale il fatto che egli morì ,quando si disponeva a dare al poema “l’ultimo pulimento”, lavoro quanto mai necessario perché il poeta era costretto dalla cecità a dettare i suoi versi . Altro poema, sulle disgrazie di famiglia, inedito e incompleto, diviso in cinque canti” La Iavene o Regina del Tacuzzo ” è il solo dei tanti melodrammi rimastoci. Scrisse molte poesie d’indole religiosa, morale e di vario argomento. Menzioniamo infine una corona di sonetti sulle “Nozze di Bacco “,composti prima della cecità, e il canto intitolato “Il tempo dell’Enguinea Musa” in terzine che aggiunto ad altre composizioni degli Industriosi , fecero sì che l’Accademia di Gangi nel 1771 fosse eretta a colonia d’Arcadia. G.F.Vitale, muore suicida lasciandosi cadere da un’alta finestra della sua casa del corso, corso che oggi porta il suo nome. Muore la notte del 20 Settembre 1789, la cecità lo aveva portato ad un forte squilibrio mentale. Il suo corpo ebbe sepoltura nelle catacombe della chiesa parrocchiale. In ricorrenza del centenario della sua morte, il comune di Gangi gli intitolò il corso e venne apposta una lapide marmorea sul muro della casa natale con la seguente iscrizione, dettata dal Barone Li Destri di Rainò: A PERENNE RICORDO IN QUESTA CASA OVE NACQUE VISSE E MORI’ L’ILLUSTRE CONCITTADINO GIUSEPPE FEDELE VITALE AUTORE DELLA SICILIA LIBERATA IL MUNICIPIO DI GANGI NELLA RICORRENZA DEL PRIMO CENTENARIO DELLA DIPARTITA RENDENDO OMAGGIO ALLE PRECALRE VIRTU’ DI LUI POETA E MEDICO POSE IL XX SETTEMBRE MDCCCLXXXIX

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Giuseppe Fedele Vitale-Salvo, sacerdote, poeta e medico, è uno dei più illustri figli della città di Gangi. Fu poeta dell’Arcadia, segretario per molti anni dell’Accademia degli Industriosi.

Discendente di un nobile casato, venuto a Gangi da Palermo nel 1600 circa.
Giuseppe Fedele nacque il 10 Aprile 1734 da Francesco Antonio ,medico e da Maria Salvo nobildonna.
Ebbe impartita un’educazione signorile e per la parte istruttiva ebbe a maestro D. Francesco Pepe da S. Mauro.
Continuò gli studi a Palermo, dimostrando fin da ragazzo, una spiccata tendenza per la poesia. Nel 1752 entrò nel collegio Massimo dei Gesuiti.
Dopo gli anni di Teologia, venne ordinato sacerdote. Iniziò, quindi venendo incontro alla propria inclinazione e ad una tradizione di famiglia, lo studio della medicina che completò all’Università di Catania, ove conseguì la laurea a pieni voti e la lode nel 1758.
Durante gli anni universitari ebbe occasione di frequentare a Catania l’Accademia degli Etnei. Trasferitosi in Palermo, fu qui molto apprezzato nell’accademia del Buon Gusto, degli Ereini e degli Uniti di Cortona per la sua dottrina e per la sua facile vena poetica.

Studiò con molto profitto presso un collegio di Padri Gesuiti. Ben si fece una straordinaria reputazione come medico, nella cui professione, come affermano i suoi immediati biografi, precorse molte teorie mediche.

Divenuto cieco a 38 anni, in seguito ad una complicazione di gotta, il tribunale, in seguito ad un consulto di medici famosi dichiarò:- “il Cieco non solo poteva addirittura medicare ,ma anche nelle Epidemie sarebbe ottimamente fatto il non appigliarsi a cura veruna senza la direzione del Cieco Vitale”.
Predilesse come abbiamo accennato, oltre agli studi pertinenti la sua professione, anche la poesia e in particolar modo le opere del Tasso e del Trissino che esercitarono su di lui un’influenza decisiva.
Nell’anno stesso della sua cecità concepì di scrivere un poema eroico” La Sicilia Liberata” ,come argomento scelse l’epopea siciliana della cacciata dei Mori, come eroe Ruggero “Nobili di cori “e ginirusu in tutti li maneri”.
“La Sicilia Liberata” il cui titolo integrale “La Sicilia liberata dai Mori” richiama già nel titolo oltre che nell’evoluzione del poema il grande modello “la Gerusalemme Liberata” del Tasso e “l’Italia Liberata del Trissino.
E’ proprio nella eccessiva influenza di questi poeti sul Vitale, la critica indica un limite fondamentale dell’opera dell’Autore gangitano.
Nello stralcio del Camilleri sul Vitale rinvenuto in biblioteca leggiamo una citazione di un suo ignoto biografo:-” Preso dalla ispirazione gli si rizzavano i capelli, enfiavano le vene della fronte, e prorompendo in versi era d’uopo di scrivere con assai speditezza ,tanto essi gli scorrevano agevolmente”.

L’estemporaneità si nota e nuoce, conclude l’ignoto biografo perché significa spesso deficienza di travaglio creativo, superfluità prolissità, mancanza di misura, difetti tutti che il Vitale, pur fra molti pregi ebbe tutti.
Il poema si compone di circa trentamila versi ( più del doppio della Divina Commedia ),ed è ricco di avvenimenti, straordinario per varietà di rime, per similitudini sempre proprie, spontanee, per immagini spesso originalissime.
Il Giovanni Meli uno dei più grandi poeti in dialetto siciliano, autore tra l’altro del poemetto “bucolica” una delle pietre miliari della poesia siciliana, scrisse:- “Questo sarebbe un poema eroico di prim’ordine, se si sfrondasse di alcuni episodi belli ma superflui e se il dialetto non fosse macchiato spesso da voci e maniere italiane”.
A sua discolpa vale il fatto che egli morì ,quando si disponeva a dare al poema “l’ultimo pulimento”, lavoro quanto mai necessario perché il poeta era costretto dalla cecità a dettare i suoi versi .
Altro poema, sulle disgrazie di famiglia, inedito e incompleto, diviso in cinque canti” La Iavene o Regina del Tacuzzo ” è il solo dei tanti melodrammi rimastoci.
Scrisse molte poesie d’indole religiosa, morale e di vario argomento.
Menzioniamo infine una corona di sonetti sulle “Nozze di Bacco “,composti prima della cecità, e il canto intitolato “Il tempo dell’Enguinea Musa” in terzine che aggiunto ad altre composizioni degli Industriosi , fecero sì che l’Accademia di Gangi nel 1771 fosse eretta a colonia d’Arcadia.
G.F.Vitale, muore suicida lasciandosi cadere da un’alta finestra della sua casa del corso, corso che oggi porta il suo nome.
Muore la notte del 20 Settembre 1789, la cecità lo aveva portato ad un forte squilibrio mentale.
Il suo corpo ebbe sepoltura nelle catacombe della chiesa parrocchiale.
In ricorrenza del centenario della sua morte, il comune di Gangi gli intitolò il corso e venne apposta una lapide marmorea sul muro della casa natale con la seguente iscrizione, dettata dal Barone Li Destri di Rainò:

A PERENNE RICORDO IN QUESTA CASA
OVE NACQUE VISSE E MORI’
L’ILLUSTRE CONCITTADINO
GIUSEPPE FEDELE VITALE
AUTORE DELLA SICILIA LIBERATA
IL MUNICIPIO DI GANGI
NELLA RICORRENZA DEL PRIMO CENTENARIO DELLA DIPARTITA
RENDENDO OMAGGIO ALLE PRECALRE VIRTU’ DI LUI
POETA E MEDICO
POSE IL XX SETTEMBRE MDCCCLXXXIX

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Francesco Giunta https://www.comune.gangi.pa.it/turismo/francesco-giunta/ Mon, 23 Dec 2019 09:46:25 +0000 http://www.comune.gangi.pa.it/?post_type=turismo&p=2317 “Morto lo storico Francesco Giunta: dedicò la sua vita al Medioevo”. Con questo significativo titolo su quattro colonne il Giornale di Sicilia del 16 gennaio 1994, in un articolo di Giuseppe Quatriglio, dà ai suoi lettori la notizia. “Scompare – scrive Quatriglio – con Francesco Giunta (…) lo storico che allo studio del medioevo ha dedicato tutto il suo impegno scientifico.” Impegno, come sottolinea Antonino Buttitta, “… motivato dalla ricerca delle ragioni profonde di quei fatti, per intenderne il senso ultimo nel più generale processo formativo della storia siciliana ed europea.” Impegno che lo porta a produrre e a pubblicare (tra il 1947 e il 1992) oltre duecento titoli, una così vasta bibliografia (cortesemente fornita dai familiari) impossibile da riportare in questo spazio, ma disponibile alla consultazione presso la biblioteca comunale. Qualche citazione, a titolo di esempio: “Bizantini e bizantinismo nella Sicilia normanna” (1950 e 1974) “Aragonesi e Catalani nel Mediterraneo” (1953) “Uomini e cose del Medioevo Mediterraneo” (1962) “Terra senza crociati” (con Umberto Rizzitano, 1967) “La coesistenza nel Medioevo” (1968) “Medioevo e Medievisti” (1971) “Il monachesimo basiliano nella Sicilia normanna” (1983) “Nuovi studi sull’età colombiana” (1987) “La presenza catalano-aragonese in Sicilia” (1991). Nel 1991 raccoglie, poi, in due volumi “Non solo Medioevo” alcuni tra i suoi saggi già editi che ritiene più significativi. E li fa precedere da una breve ma esauriente autobiografia. Nel 1992 cura, con saggezza e passione, il Convegno Internazionale di Studi Colombiani, che si tiene a Erice (22-27 aprile), un impegno che egli stesso definisce “oneroso”; ma che, ancora una volta, lo vede protagonista. Nel 1993 ne cura anche la pubblicazione degli atti, editi dall’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Palermo. Non basta. Intensa è la sua collaborazione a riviste e giornali: citerò per tutti “Il Giornale di Sicilia” e “La Fiera Letteraria”. Affatto trascurabile il suo apporto di ricercatore a vari dizionari ed enciclopedie, “Dizionari biografici degli italiani”, per esempio. Da non dimenticare, infine, il Giunta critico d’arte. Ben ventidue titoli dedicati ad artisti diversi: Totò Bonanno, Bruno Caruso, Maurilio Catalano, Manuel Cusachs, Renato Guttuso, Giuseppe Migneco… E chiedo scusa agli altri, non potendoli citare tutti.

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“Morto lo storico Francesco Giunta: dedicò la sua vita al Medioevo”.

Con questo significativo titolo su quattro colonne il Giornale di Sicilia del 16 gennaio 1994, in un articolo di Giuseppe Quatriglio, dà ai suoi lettori la notizia.

“Scompare – scrive Quatriglio – con Francesco Giunta (…) lo storico che allo studio del medioevo ha dedicato tutto il suo impegno scientifico.”

Impegno, come sottolinea Antonino Buttitta, “… motivato dalla ricerca delle ragioni profonde di quei fatti, per intenderne il senso ultimo nel più generale processo formativo della storia siciliana ed europea.” Impegno che lo porta a produrre e a pubblicare (tra il 1947 e il 1992) oltre duecento titoli, una così vasta bibliografia (cortesemente fornita dai familiari) impossibile da riportare in questo spazio, ma disponibile alla consultazione presso la biblioteca comunale.

Qualche citazione, a titolo di esempio:
“Bizantini e bizantinismo nella Sicilia normanna” (1950 e 1974)
“Aragonesi e Catalani nel Mediterraneo” (1953)
“Uomini e cose del Medioevo Mediterraneo” (1962)
“Terra senza crociati” (con Umberto Rizzitano, 1967)
“La coesistenza nel Medioevo” (1968)
“Medioevo e Medievisti” (1971)
“Il monachesimo basiliano nella Sicilia normanna” (1983)
“Nuovi studi sull’età colombiana” (1987)
“La presenza catalano-aragonese in Sicilia” (1991).

Nel 1991 raccoglie, poi, in due volumi “Non solo Medioevo” alcuni tra i suoi saggi già editi che ritiene più significativi. E li fa precedere da una breve ma esauriente autobiografia.

Nel 1992 cura, con saggezza e passione, il Convegno Internazionale di Studi Colombiani, che si tiene a Erice (22-27 aprile), un impegno che egli stesso definisce “oneroso”; ma che, ancora una volta, lo vede protagonista.

Nel 1993 ne cura anche la pubblicazione degli atti, editi dall’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Palermo.

Non basta. Intensa è la sua collaborazione a riviste e giornali: citerò per tutti “Il Giornale di Sicilia” e “La Fiera Letteraria”.

Affatto trascurabile il suo apporto di ricercatore a vari dizionari ed enciclopedie, “Dizionari biografici degli italiani”, per esempio.

Da non dimenticare, infine, il Giunta critico d’arte. Ben ventidue titoli dedicati ad artisti diversi: Totò Bonanno, Bruno Caruso, Maurilio Catalano, Manuel Cusachs, Renato Guttuso, Giuseppe Migneco…
E chiedo scusa agli altri, non potendoli citare tutti.

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Antonio Li Destri Ventimiglia https://www.comune.gangi.pa.it/turismo/antonio-li-destri-ventimiglia/ Mon, 23 Dec 2019 09:45:49 +0000 http://www.comune.gangi.pa.it/?post_type=turismo&p=2315 Il barone di Ramo Antonio Li Destri Ventimiglia nacque in Gangi il 2 febbraio 1849 e ivi morì il 31 luglio 1924. Uomo semplice e soprattutto modesto tant’è vero che non volle pubblicare i suoi scritti se non in tarda età, dopo reiterate insistenze degli amici corresse parte dei manoscritti e diede alle stampe il primo romanzo della sua concepita trilogia, intitolandolo “Sulla via del dolore” e prendendo lo pseudonimo di Sidonio Lindetra. In questo romanzo il Li Destri narra gli avvenimenti più salienti della sua vita facendo un quadro abbastanza veritiero delle vicende intime e descrivendo gli usi e i costumi del suo paese natio, che chiama Pietrasanta, mentre egli si palesa nel protagonista Alberto Villavecia. Con detto volume l’autore ci diede un terzo dell’opera, che sarà proposta e che avrebbe abbracciato gli aspetti più rilevanti della vita siciliana dall’unificazione d’Italia alla conclusione della prima guerra mondiale (1918). “Speranza” e la “Gesui Tessa di Prades”, che s’erano annunziati di prossima pubblicazione, di cui poi non si seppe più nulla) che ci avrebbe portato, secondo il De Maria, noto pubblicista dell’epoca, . Il Li Destri fu inoltre presidente consorziale per le ferrovie secondarie nel 1900 e propugnò la costruzione delle linee Termini – Nicosia – Cefalù – Caltanissetta, che purtroppo rimasero allo studio e che avrebbero gradatamente agevolato il traffico industriale e commerciale nei nostri centri madoniti. Infatti il Li Destri intese sempre migliorare le sorti del proprio paese.

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Il barone di Ramo Antonio Li Destri Ventimiglia nacque in Gangi il 2 febbraio 1849 e ivi morì il 31 luglio 1924.
Uomo semplice e soprattutto modesto tant’è vero che non volle pubblicare i suoi scritti se non in tarda età, dopo reiterate insistenze degli amici corresse parte dei manoscritti e diede alle stampe il primo romanzo della sua concepita trilogia, intitolandolo “Sulla via del dolore” e prendendo lo pseudonimo di Sidonio Lindetra.
In questo romanzo il Li Destri narra gli avvenimenti più salienti della sua vita facendo un quadro abbastanza veritiero delle vicende intime e descrivendo gli usi e i costumi del suo paese natio, che chiama Pietrasanta, mentre egli si palesa nel protagonista Alberto Villavecia.
Con detto volume l’autore ci diede un terzo dell’opera, che sarà proposta e che avrebbe abbracciato gli aspetti più rilevanti della vita siciliana dall’unificazione d’Italia alla conclusione della prima guerra mondiale (1918).
“Speranza” e la “Gesui Tessa di Prades”, che s’erano annunziati di prossima pubblicazione, di cui poi non si seppe più nulla) che ci avrebbe portato, secondo il De Maria, noto pubblicista dell’epoca, .
Il Li Destri fu inoltre presidente consorziale per le ferrovie secondarie nel 1900 e propugnò la costruzione delle linee Termini – Nicosia – Cefalù – Caltanissetta, che purtroppo rimasero allo studio e che avrebbero gradatamente agevolato il traffico industriale e commerciale nei nostri centri madoniti. Infatti il Li Destri intese sempre migliorare le sorti del proprio paese.

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Gaetano Lo Presti https://www.comune.gangi.pa.it/turismo/gaetano-lo-presti/ Mon, 23 Dec 2019 09:45:18 +0000 http://www.comune.gangi.pa.it/?post_type=turismo&p=2313 Il Sac. Gaetano Lo Presti poeta e filosofo è nato a Gangi il 9 maggio del 1817, da Antonio Lo Presti e da Antonina Scavuzzo. Ordinatosi sacerdote, conseguì la laurea in Sacra Teologia. Tornò a Gangi dove per molti anni si dedicò all’insegnamento, e al rettorato della Confraternita del Rosario della Madrice. Tra i suoi allievi, eccelse il poeta dialettale Francesco Paolo Polizzano. Fu geniale cultore dell’arte poetica, purtroppo la maggior parte della sua produzione è andata sperduta.La sua attività poetica è caratterizzata da una influenza nettissima delle coeve istanze romantiche e soprattutto del Foscolo, e da una abilità poetica in chiave ironica, che si denota soprattutto nel suo Apologo “Un porco in maschera”.Ci rimangono pochi versi di “Un porco in maschera” citati dal Dott. Santo Naselli nel suo libro “Engio e Gangi” ed un carme rarissimo rinvenuto in biblioteca intitolato “Un’ora di meditazione fra i cipressi della Villa Giulia in Palermo”.In questo Carme si avverte molto l’influenza Foscoliana, infatti qui si rintracciano tutti i temi che il Foscolo trattò nei suoi “Sepolcri”, tema dell’Urna, del Sepolcro, della natura consolatrice, del dialogo tra il defunto ed il vivente, della memoria e delle rimembranze e soprattutto della poesia eternatrice di altri nomi. Citiamo qualche verso – “In questo d’urne e di cipressi cinto. Luogo, ove han fine i pianti e le speranze, Sacro alla pace e all’ossa dell’estinto, in queste amiche e solitarie stanze. Oh come dolce si alimenta il core. Di sacri affetti e care rimembranze…”. Si aggiunge a questi il tema del patriottismo, per chiare ragioni storiche, infatti il periodo della produzione poetica del Lo Presti si aggira intorno al 1860, periodo dell’Unità d’Italia, grande ideale romantico di unità culturale storica di tradizione e di lingua. Citiamo qualche verso – “Ti senti in fronte sollevar le chiome in rileggendo in questi marmi sculto dei prodi figli della patria il nome. Nome che vince ogni straniero insulto, nome che attesta alla futura gente che il siculo terren non mai fu inculto”.Lo Presti morì in Gangi il 31 agosto 1882. Le sue spoglie sono tumulate nella cappella del cimitero, sulla cui lapide marmorea si legge il seguente epitaffio: QUI SI RACCHIUDONO LE CENERI PREZIOSE DEL SAC. GAETANO LO PRESTI INSIGNE POETA E FILOSOFO SINTESI DI GENIO DI GRAZIA E DI BONTA’ MORTO 31 AGOSTO 1882

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Il Sac. Gaetano Lo Presti poeta e filosofo è nato a Gangi il 9 maggio del 1817, da Antonio Lo Presti e da Antonina Scavuzzo. Ordinatosi sacerdote, conseguì la laurea in Sacra Teologia. Tornò a Gangi dove per molti anni si dedicò all’insegnamento, e al rettorato della Confraternita del Rosario della Madrice. Tra i suoi allievi, eccelse il poeta dialettale Francesco Paolo Polizzano. Fu geniale cultore dell’arte poetica, purtroppo la maggior parte della sua produzione è andata sperduta.La sua attività poetica è caratterizzata da una influenza nettissima delle coeve istanze romantiche e soprattutto del Foscolo, e da una abilità poetica in chiave ironica, che si denota soprattutto nel suo Apologo “Un porco in maschera”.Ci rimangono pochi versi di “Un porco in maschera” citati dal Dott. Santo Naselli nel suo libro “Engio e Gangi” ed un carme rarissimo rinvenuto in biblioteca intitolato “Un’ora di meditazione fra i cipressi della Villa Giulia in Palermo”.In questo Carme si avverte molto l’influenza Foscoliana, infatti qui si rintracciano tutti i temi che il Foscolo trattò nei suoi “Sepolcri”, tema dell’Urna, del Sepolcro, della natura consolatrice, del dialogo tra il defunto ed il vivente, della memoria e delle rimembranze e soprattutto della poesia eternatrice di altri nomi. Citiamo qualche verso – “In questo d’urne e di cipressi cinto. Luogo, ove han fine i pianti e le speranze, Sacro alla pace e all’ossa dell’estinto, in queste amiche e solitarie stanze. Oh come dolce si alimenta il core. Di sacri affetti e care rimembranze…”. Si aggiunge a questi il tema del patriottismo, per chiare ragioni storiche, infatti il periodo della produzione poetica del Lo Presti si aggira intorno al 1860, periodo dell’Unità d’Italia, grande ideale romantico di unità culturale storica di tradizione e di lingua. Citiamo qualche verso – “Ti senti in fronte sollevar le chiome in rileggendo in questi marmi sculto dei prodi figli della patria il nome. Nome che vince ogni straniero insulto, nome che attesta alla futura gente che il siculo terren non mai fu inculto”.Lo Presti morì in Gangi il 31 agosto 1882. Le sue spoglie sono tumulate nella cappella del cimitero, sulla cui lapide marmorea si legge il seguente epitaffio:
QUI SI RACCHIUDONO
LE CENERI PREZIOSE
DEL SAC. GAETANO LO PRESTI
INSIGNE POETA E FILOSOFO
SINTESI DI GENIO DI GRAZIA E DI BONTA’
MORTO 31 AGOSTO 1882

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